Ha ancora Senso educare? A quale Senso educare?
A quale società educare per quale mondo possibile…

Se per un attimo ripercorriamo gli ultimi due anni dal punto di vista dei temi che riguardano “il mondo dell’educazione” possiamo sostenere che:

  • nel primo lockdown del 2020 i bambini e gli adolescenti sono stati i grandi “dimenticati” e assenti dal dibattito pubblico (persino nei decreti)
    wumingfoundation.com/giap/bambini-scomparsi-coronavirus
  • vi è stata una prepotente sovrapposizione tra il tema degli strumenti e delle tecnologie e quello dell’orientamento pedagogico-politico (didattica a distanza, gruppi socioeducativi su Zoom etc…)
  • è successivamente emersa nel 2021 una maggiore dialettica ( anche se forse solo per una nicchia di addetti ai lavori) su questioni come l’outdoor education a cavallo tra scuola pubblica e esperienze alternative (asili nel bosco, scuole parentali etc..)
  • sono nate una quantità esponenziale di iniziative, progetti, articoli, saggi per “dare finalmente voce ai ragazzi/e” facendo emergere in prima persona la situazione sociale che stavano vivendo.
    jacobinitalia.it/lasilo-neoliberale-nel-bosco-della-crisi
    internazionale.it/lockdown-didattica-distanza-conseguenze-adolescenti

Sullo sfondo di tutto ciò grande rilevanza hanno avuto a livello politico i Patti educativi di comunità, pensati, istituti e finanziati dal Miur. Nelle motivazioni si legge siano nati proprio per dare un nuovo corso alla didattica e all’educazione, con l’obiettivo di sviluppare nuovi ambienti educativi e incentivare percorsi di Comunità educante, coinvolgendo altri attori, oltre alla scuola, nell’azione pedagogica dei vari territori.
savethechildren.it/atto-educativo-di-comunita-cos-e-come-funziona

Come forse qualcuno di voi saprà, Cultura in movimento nasce proprio come progetto di pedagogia sociale che, partendo dai vissuti e dalle condizioni reali espresse in prima persona dai ragazzi/e, opera nella città e nelle relazioni con essa, per sviluppare azioni educative trasformative in un’ottica assembleare e dal basso.

Sembravano emergere quindi anche per noi, all’inizio dell’estate 2021, alcuni presupposti minimi per partecipare ad un tentativo di ripensamento congiunto di e tra pratiche pedagogiche e di polis che potesse unire contesto locale e generale.

Certo non abbiamo mai creduto che ci si potesse affidare a questa classe dirigente, che, in perfetta continuità con il passato più o meno recente, ha sostenuto tagli e privatizzazioni nell’istruzione e nel welfare e ha alimentato una cultura educativa improntata a logiche competitive, classiste e escludenti. Nonostante ciò, l’evoluzione di una certa narrazione della pandemia, grossolanamente riassunta sopra, ci dava l’idea che ci potessero essere piccoli margini per creare spazi di pensiero e pratiche educative più democratiche, partecipate e allargate collegate ad una costruzione di una realtà sociale meno diseguale.

Potrebbe essere solo una nostra costruzione temporale non corretta, ma proprio a partire dal giugno scorso (in cui forse si concentrava la ripartenza economica piena e generale?) abbiamo constatato e vissuto un netto peggioramento nel clima sociale e una pesantezza che si rifletteva nel nostro operare…

A livello macro infatti sentivamo sempre più insistenti relazioni e descrizioni criminalizzanti, discriminatorie e superficiali nei confronti di bambini/e adolescenti e giovani, definiti come:

  • irresponsabili “senza mascherina”, untori, non rispettosi delle regole e dell’autorità;
  • “zombie sociali” protagonisti di atti di microcriminalità e di “non decoro” urbano;
  • “bamboccioni” viziati interessati solo al divertimento sfrenato (malamovida)
  • sfaticati parassiti riluttanti alle “grandi” e “invitanti” opportunità di lavoro, magari sostenuti da redditi sociali (di cittadinanza in particolare).

A livello della nostra micro visuale, l’elemento che maggiormente ci ha investito è stato l’arroccamento, l’autocentratura e la chiusura dei vari mondi, gruppi, ambiti e interlocutori (tra cui noi stessi) nelle singole esistenze, appartenenze e pratiche. Il tutto ammantato da una illusoria capacità di dare risposte sensate ed efficaci e di avere una qualche comprovata rilevanza sociale; qualche esempio?

  • Se partiamo da chi come noi lavora nel campo educativo (insegnanti, educatori, operatori sociali) non possiamo non notare una esplosione di iniziative creative, una bulimia di offerte aggregative, senza apparenti indirizzi, regie e strutture complessive discusse comunitariamente. I già citati Patti educativi in alcuni territori hanno sicuramente risposto alla desertificazione sociale e ad una mancanza endemica di presenza e pratica pedagogica coordinata, ma in altri hanno semplicemente aggiunto un’opzione nel mercato dell’educativo.
  • Se ci concentriamo sul “mondo adulto” (genitori, amministratori locali, associazioni, cittadini e società civile) ci è parso evidente un collegamento sempre più marcato tra domanda e offerta di attività. Da un lato i genitori alla ricerca di parcheggi sociali più o meno costosi, in un’ottica di accrescimento di competenze utili all’investimento sul e del figlio/a; dall’altro lato il mondo politico sempre più concentrato a configurarsi come amministratore delegato del proprio territorio, inteso come bene/esperienza da vendere e valorizzare, in cui una certa dose di “sociale” non può che far bene all’immancabile cartolina turistica. Tutto ciò condito da una discreta dose di paternalismo, ipocrisia e confusione di ruoli.
  • Se infine guardiamo ai/alle ragazzi/e, è facile cogliere l’ambivalenza dell’essere vere e proprie vittime di queste impostazioni e narrazioni opprimenti e paralizzanti da un lato, dall’altro notare (facendo attenzione a non generalizzare) un certo adattamento, una sorta di “passivismo” e disinteresse rispetto alla realtà definita da altri.

Insomma, il punto è sempre quello: crediamo si stiano completamente perdendo la forza (e la pandemia ha solo esacerbato una certa tendenza) e la possibilità di creare un progetto educativo di comunità pubblico, realmente democratico, collaborativo, de-istituzionalizzato e orientato ai Beni Comuni. Un progetto che metta in discussione proprio ciò che non lo rende possibile. Un progetto che non attinga solo alla sfera del pedagogico, ma anche allo scenario di fondo profondamente politico.

E noi? Con il nostro furgoncino che “va incontro”, con la nostra impostazione di inchiesta, mappa sociale, rielaborazione e restituzione artistico – comunitaria e tentativo di cambiamento di polis? In cosa ci differenziamo? Siamo riusciti ad innestare un segnale di inversione di rotta? Abbiamo incrociato gli sguardi, osservato i segnali che ci inviavano e ascoltato davvero le parole dette e non dette dei ragazzi e della ragazze che si sono fidati di noi?
La sensazione è stata quella di essere stati investiti e sovrastati dal dover “confermare una presenza”, confrontarsi con situazioni di scarso rilievo sociale, con una cultura dell’evento, con finanziamenti e bandi in un vortice sempre più stringente. Anche noi abbiamo agito per sopravvivere? Ci siamo messi in discussione nella giusta maniera? Il Senso del nostro Agire si è sfuocato?
Nonostante i buoni propositi, le belle parole, e la sproporzione delle forze messe in campo, ci è parso di aver corso il rischio (o forse lo abbia addirittura oltrepassato) di rientrare nell’ambito della proposta e dell’offerta proprio di un certo tipo di attivismo e di partecipazione civica.

Proprio da qui in autunno ci siamo rimessi con fatica a pensare, a definire e a elaborare percorsi che:

  • praticassero non solo “un dare voce”, ma un sentire, un ascoltare e ri-ascoltare dialettico con i/le ragazzi/e
  • stimolassero processi democratici autentici attraverso la critica, la messa in discussione e un minimo di conflitto usati come strumento pedagogico.
  • realizzassero pratiche e processi reali di cambiamento sociale a partire da situazioni sentite come emergenti.

Pensiamo di dover sviluppare il nostro progetto a partire dalle sue basi. Sentiamo l’urgenza di trasformare in atto la carica conflittuale che abbiamo nei cuori, ma che siamo riusciti ad esplicitare in maniera troppo timida e frammentaria. Per questo noi e i ragazzi e le ragazze con cui condividiamo il percorso vi chiediamo di darci una mano: di costruire insieme un momento di riflessione collettiva (da qui ad aprile), fondativo di una ripartenza all’altezza (o bassezza) dei nostri tempi.

Crediamo sia necessario affrontare ancora qualche aspetto, lo facciamo proponendovi per cominciare questa serie di articoli:

doppiozero.com/adolescenti-senza-parole-leta-tradita

doppiozero.com/come-stanno-gli-adolescenti

savethechildren.it/infanzia-e-coronavirus-bambini-e-adolescenti-sempre-più-invisibili-e-soli-povertà-minorile

quotidianosanita.it/studi-e-analisi/

humanitas-care.it/bambini-e-adolescenti-quale-impatto-emotivo-della-pandemia-e-della-chiusura-delle-scuole-parola-alle-neuroscienze

espresso.repubblica.it/in-aumento-tentati-suicidi-e-autolesionismo

espresso.repubblica.it/i_bambini_dell_era_covid_abbandonati_ai_loro_incubi

L’aumento delle disuguaglianze economiche, della solitudine, delle angosce e delle paure legate al presente e alle prospettive future, il disagio, i fenomeni di autolesionismo, i tentativi e i casi di suicidio, l’abbandono scolastico, lo sfruttamento del precariato lavorativo e del “nero” dilagante: sono tutte questioni che stiamo affrontando quotidianamente nello stare con i/le ragazzi/e.

Abbiamo toccato drammaticamente con mano che queste sono condizioni che riguardano molti di loro: “tra gli 11 e i 20 anni”, tra la tua cameretta e il mondo, ti chiedi che opportunità avrai, che capacità potrai mettere a frutto, che senso avrà metterti in gioco. Esiste qualcuno che crede in te? Puoi essere sognato e se sì, in che maniera?

I ragazzi tendenzialmente non riescono più ad immaginarsi, configurarsi e crearsi come persone in azione nel mondo, elaborare un loro progetto di emancipazione (personale, lavorativo, politico etc..). La stessa società inibisce e ostacola tutto ciò, perché il suo fine ultimo è quello di operare divisione sociale, creare sudditi, competitors, consumatori. Questa società, inoltre, sta riuscendo nel configurarsi culturalmente e politicamente come l’unica possibile e realizzabile, in cui l’ individualismo non significa solo essere in lotta con gli altri per un posto al sole (pochissimi) o per la sopravvivenza (tutti gli altri); significa soprattutto sentirsi gli unici responsabili e colpevoli dei propri fallimenti, delle proprie “sfighe”. Il capitalismo alimenta privatizza e sfrutta le nostre malinconie, le nostre paure, il nostro malessere.

E allora che Senso ha educare? A quale Società educare? Dobbiamo adeguarci a quella sommariamente descritta? O proviamo a ri-destarci e a scandagliare un progetto di comunità completamente rinnovato? Crediamo non sia veramente più possibile far finta di nulla. Crediamo sia arrivato il momento di chiederci da che parte stare, noi (operatori, mondo adulto) e i ragazzi insieme. Crediamo sia il tempo di interrogarci sull’efficacia e sui limiti del nostro operare, perché non tutto può essere sostenuto dal livello educativo.

Esiste però un nodo strettamente pedagogico fondamentale: quello che noi abbiamo cercato di mettere dentro le nostre pratiche dall’autunno scorso, quello di unire gli aspetti personali delle nostre esistenze alle dinamiche socio-politiche di contesto. Insomma dobbiamo far diventare i fatti di ognuno di noi i fatti di tutti e viceversa.

Il tentativo è quello di andare a realizzare un’avventura pedagogica che, a partire dalle relazioni e dalla messa in comune delle nostre esistenze, sviluppi Soggetti e Città desiderabili. Un esercizio di immaginazione realizzabile, in conflitto con la profonda ingiustizia della realtà attuale.

Fare inchiesta con i ragazzi/e vuol dire prenderli sempre più sul serio, interessarci delle loro ferite, cogliere i loro sguardi e i loro desideri. Vuol dire divenire consapevoli di se stessi e della realtà attorno, vuole dire raccontarsi per modificare l’esistente.

Fare Educazione con questa accezione definisce le nostre Soggettività in una prospettiva collettiva, strettamente legata al concetto di beni comuni, che non è più solo accesso a risorse naturali, ambientali ed economiche di un territorio, ma diviene anche una modalità relazionale nella gestione e nella riappropriazione di essi in chiave profondamente democratica. Ragazzi/e! Possiamo e dobbiamo decidere delle nostre esistenze e dei nostri territori!

Ecco che allora questo testo diventa un invito, è un aux armes! Un semplicissimo passo zero di un percorso che da qui ad aprile immaginiamo (mettiamo anche i nostri di desideri) come fondativo di un movimento educativo per un diritto alla città pedagogico. Non solo uno stare insieme a Rete, non un altro manifesto teorico, ma una pratica assembleare di riflessioni e azioni educative liberanti ed emancipative da riversare sia nei nostri singoli contesti che ad un più decisivo livello allargato.

Sentiamo forte la necessità di ri-significare e ri-semantizzare il nostro operato in maniera collegiale, per poter urlare e credere sempre di più che “la vita è bella, e che possano le generazioni future liberarla da ogni male, oppressione e violenza, e goderla in tutto il suo splendore”….e noi con loro….